Il CCNL: che cos’è? Qual’è la sua storia? Quali modifiche sono state proposte?
Ha quasi cento anni di storia il CCNL: durante questo lungo arco di tempo il contratto collettivo nazionale del lavoro ha subito molte modifiche e tante altre ne sono state proposte. Riavvolgiamo il nastro per scoprire le vicende relative a questo fondamentale protagonista del diritto del lavoro del nostro Paese.
Cos’è e che funzioni ha il CCNL
Prima di tutto è necessario dare una definizione: il CCNL è il contratto collettivo nazionale del lavoro, frutto delle contrattazioni e dell’accordo che avvengono a livello nazionale tra le organizzazioni che rappresentano i datori di lavoro (associazioni datoriali) ed i lavoratori (sindacati). Ovviamente la contrattazione collettiva si sviluppa su più livelli: aziendale, locale, di categorie e interconfederale. I CCNL, che sono quelli che hanno la più alta rilevanza, sono quelli che si concludono a livello di categoria. Il contratto è composto da due parti: la parte normativa si occupa della disciplina dei rapporti individuali di lavoro, mentre la parte obbligatoria detta alcune regole in merito al rapporto tra il lavoratore e l’azienda. I contratti collettivi nazionali del lavoro hanno due importantissime funzioni:
- stabiliscono il contenuto essenziale dei contratti di lavoro individuali nei rispettivi settori per quanto riguarda l’aspetto normativo (orario, mansioni, stabilità dei rapporti…) e l’aspetto economico (anzianità, retribuzione e così via);
- regolano i rapporti tra i soggetti collettivi, ovvero le cosiddette relazioni industriali.
La storia del contratto collettivo nazionale del lavoro: nascita, evoluzioni e modifiche
La storia del CCNL comincia in piena epoca fascista, quando nel 1927 venne promulgata la Carta del Lavoro: basato su quello che viene definito il sindacalismo corporativo, il contratto collettivo aveva una forte impronta produttivistica, veniva applicato a tutti gli appartenenti alla categoria di riferimento e non dava molto potere alle rappresentanze dei lavoratori (si pensi, ad esempio, che lo sciopero era penalmente punibile). Le cose iniziano a cambiare dopo la nascita della Repubblica Italiana: la Costituzione stessa, nel suo articolo 39 prevede che i rapporti di lavoro possano essere regolati dai contratti collettivi stipulati a livello nazionale, ma che la loro validità per tutti i lavoratori (anche i non iscritti ai sindacati) è subordinata ad un riconoscimento giuridico (in realtà mai arrivato). Fino agli anni ’60, quindi, la contrattazione collettiva è rimasta assai debole e limitata alla determinazione a livello nazionale di gabbie salariali e quote contributive, senza molti margini di intervento ai livelli più bassi.
Segue poi il boom economico, periodo in cui i lavoratori (e quindi i sindacati) riescono a guadagnare forza e potere contrattuale. Il risultato fu una graduale decentralizzazione del sistema sindacale, che raggiunge il suo culmine tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. In questi anni la contrattazione collettiva nazionale di fatto diventa lo strumento con cui vengono estesi a livello “totale” le novità che venivano introdotte nei contratti collettivi stipulati a livello aziendale. Finito il periodo d’oro dell’economia italiana, lo Stato decide di dover intervenire nel campo delle relazioni industriali: l’attività sindacale tende quindi a riaccentrarsi e le contrattazioni si risolvono in accordi trilaterali, che coinvolgono ile rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori, ma anche le istituzioni pubbliche. Negli anni ’80 una nuova ripresa economica porta ad un uovo decentramento, a cui per si accompagna un indebolimento dei sindacati.
Gli anni ’90 sono caratterizzati dai tentativi dello Stato di riportare i suoi parametri in linea con i requisiti richiesti dall’UE: nasce l’epoca della concertazione sociale, in cui le rappresentanze sindacali collaboravano maggiormente con il governo per quanto riguarda le decisioni relative alla politica macroeconomica. Il patto di Natale del 1998 stabilisce il nuovo equilibrio delle relazioni industriali, che si svolgono su un doppio livello di contrattazione, con il contratto collettino nazionale di categoria che definisce quelli che devono essere le materie, gli istituti, i tempi e le modalità di articolazione dei contratti collettivi aziendali. Negli anni 2000 la concertazione è stata rimpiazzata da un meno invasivo dialogo sociale, che però ha portato ad un ridimensionamento del potere delle organizzazioni sindacali in merito al rapporto tra il contratto e le leggi. I CCNL e le loro modifiche successive vengono raccolti e custoditi nell’archivio del CNeL, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.