Come calcolare quando andare in pensione e quanto ti spetta
Riuscire ad andare in pensione quando spetta, o persino in anticipo, a molti sembra qualcosa di molto lontano nel tempo. In realtà, facendo le dovute stime è possibile avere già un quadro molto chiaro delle “finestre” disponibili per accedere al proprio pensionamento. In gioco possono entrare molti fattori: l’età, gli anni di contributi versati e il sistema contributivo di cui si fa parte.
Al fine di avere uno schema immediato e facile da comprendere, si possono consultare le tabelle per calcolare quando andare in pensione che è possibile trovare su portali web completi ed esaustivi come inpensione.com.
Sistema retributivo, contributivo e misto
Il sistema retributivo è la vecchia modalità dedicata a chi abbia prestato servizio presso aziende pubbliche o private fino al 1995. Il calcolo si basava, come dice il nome, sulla retribuzione media che si riceveva soprattutto durante gli ultimi anni di lavoro, nonché su un’aliquota variabile a seconda che l’anzianità fosse maturata entro il 1992 o l’anno dopo.
Con la Legge Fornero del 2012, il sistema contributivo ha completamente soppiantato il precedente e si rivolge a tutti coloro i quali abbiano maturato contributi successivamente all’anno 1995: in questo caso, il calcolo prevede che venga fatta una media dei contributi versati, inclusi i periodi in cui questi erano inferiori, e che si moltiplichi il risultato per il cosiddetto coefficiente di rivalutazione (in relazione alla rivalutazione monetaria e all’età), oltre a tenere ben presente anche il numero di anni in cui si è prestato servizio.
Infine, il sistema misto è l’insieme dei due, perché esistono soggetti che rientrano in entrambi: il calcolo verrà quindi fatto tramite il retributivo fino agli anni ’90 e tramite il contributivo in quelli successivi.
La pensione anticipata
Nell’ambito dei sistemi contributivo e misto, poi, vi sono “finestre” da poter prendere in considerazione per poter usufruire della pensione anticipata. Nello specifico, le donne dovranno conteggiare un anno in meno. Ad esempio, qualora tra il 2021 e il 2026 si siano maturati 42 anni e 10 mesi di contributi INPS, già dal 1 gennaio 2019 si hanno 3 mesi di tempo dalla maturazione dei requisiti minimi.
Con il sistema misto, in particolar modo, le tabelle esplicative si riferiscono invece meramente all’età: per quanto concerne il settore pubblico, sia per gli uomini che per le donne con almeno 20 anni di contributi versati, fino al 2017 occorre aver compiuto i 66 anni, mentre per le lavoratrici dipendenti private o autonome è sufficiente un anno in meno. Le cose si livellano per tutte le categorie a partire dal 2019, quando l’età pensionabile minima si assesta sui 67 anni aumentando di un anno ogni decennio che passerà, eccezion fatta per coloro che svolgono lavori particolarmente pesanti, che si vedranno “risparmiato” almeno un anno di servizio.
Esiste, però, anche un’altra formula che al momento pare rimanga attiva almeno fino al 31 dicembre 2021: la cosiddetta quota 100. Si tratta di una somma vera e propria tra gli anni relativi all’età anagrafica e quelli riferibili ai contributi versati. Così, chi entro quella data abbia maturato perlomeno 38 anni di versamenti e compiuto i 62 anni (totale 100) potrà aspirare al pensionamento anticipato. Le finestre disponibili al raggiungimento di tali requisiti si assestano sui 3 mesi per i privati e sui 6 mesi per gli statali.
Altre varianti da considerare per la pensione
Nell’ambito dell’INPS, poi, vi sono anche due diverse gestioni che riguardano in particolar modo i lavoratori dipendenti o quelli autonomi: la Gestione Ordinaria, nello specifico, è quella relativa a dipendenti sia pubblici che privati, mentre la Separata riguarda i possessori di partita Iva e le aziende.
Il calcolo finale della pensione tiene conto di questo e di altri parametri quali l’aspettativa di vita, gli anni universitari e persino quelli dedicati al servizio militare.